Aumento tassi di interesse o aumento inflazione: cosa augurarci?
L’attuale segretario del Tesoro Yellen, ex numero uno della Fed, in questi giorni si è lasciata andare facendo trapelare a suo avviso la necessità di prendere in considerazione l’aumento tassi di interesse. Questa dichiarazione è stata sufficiente per far tremare la borsa americana, che ha pesato soprattutto sul settore tecnologico. Non a caso, quello che è cresciuto di più in questi anni. Ma perché gli operatori rispondono così negativamente ad un possibile aumento tassi di interesse?
Aumento tassi di interesse: perché fa paura ai mercati?
Un possibile aumento dei tassi di interesse equivale ad una politica monetaria restrittiva. Se aumenta il tasso di interesse di riferimento, ovvero quello stabilito dalle banche centrali, si riduce inevitabilmente l’accesso al credito. Questo perché prendere denaro in prestito diventa sempre più caro mano a mano che i tassi aumentano.
In una fase di crescita ancora non consolidata, una chiusura anche parziale dei rubinetti del credito potrebbe raffreddare la ripresa con conseguente ripresa della crisi economica.
E’ chiaro che dinanzi ad ipotesi del genere gli operatori di mercato non possono che rispondere in maniera preoccupata. E le Borse scendono.
Inoltre, un aumento dei tassi di interesse potrebbe rendere meno conveniente investire in azioni. Questo perché le obbligazioni tenderebbero ad essere più remunerative.
Poiché gli operatori di mercato si muovono in base alla convenienza, un aumento dei rendimenti delle obbligazioni (che si traduce, per quelle già quotate, in un calo dei prezzi) potrebbe dar vita ad una rotazione dei portafogli, ovvero ad uno spostamento di flussi monetari dall’azionario all’obbligazionario.
Beh, a questo punto inizierai a pensare che è meglio non intervenire sui mercati e lasciare i tassi invariati ancora per un pò. Che fretta c’è!
Ma cosa succederebbe se non ci fosse nessun aumento tassi di interesse?
Aumento dell’inflazione: quali conseguenze?
In fase di crescita economica, se non si intervenisse con un aumento dei tassi di interesse il rischio è che si registri un’impennata dell’inflazione!
L’inflazione è uno dei parametri più seguiti dagli operatori di mercato per prezzare le obbligazioni. Anzi, forse il più seguito, in particolar modo per quelle a lunga scadenza (oltre i 10 anni).
In un contesto di forte ed improvvisa inflazione, gli operatori di mercato tenderebbero a disinvestire dalle obbligazioni a più lunga scadenza in quanto riterrebbero il rendimento reale delle obbligazioni poco adeguato. L’impennata dell’inflazione potrebbe quindi successivamente ridurre il gap tra rendimento delle azioni e obbligazioni, in quanto una fuoriuscita dall’obbligazionario a lunga scadenza generebbe una diminuzione dei prezzi e quindi un aumento dei rendimenti.
Apparentemente sembra essere ritornati alle conseguenze innescate da un aumento dei tassi. Per certi versi sì, ma in ogni caso permangono delle differenze anche importanti.
Un aumento dei tassi di interesse, se ben gestito, non genera necessariamente un raffreddamento dell’economia e quindi una crisi. Del resto, la storia ci insegna che le Borse anche in fase di aumento dei tassi d’interesse hanno registrato trend positivi. Un aumento dei tassi a “piccoli passi” terrebbe sotto controllo l’inflazione, con un beneficio per le obbligazioni.
Il forte aumento dell’inflazione, invece, potrebbe scatenare un crollo improvviso delle quotazioni delle obbligazioni a medio/lunga scadenza! A quel punto, con tassi obbligazionari molto più alti, una rotazione dei portafogli sarebbe più verosimile.
Il difficile ruolo delle Banche centrali
Come vedi il contesto è molto delicato e l’intervento delle banche centrali deve essere chirurgico sia nei tempi che nell’intensità!
Intervenire troppo in fretta potrebbe frenare la ripresa economica. Intervenire in ritardo potrebbe causare uno scoppio dell’inflazione, con tutte le conseguenze viste prima!
Torna, quindi, il dibattito sulla possibilità di un imminente rimbalzo dell’inflazione, proprio quando le valutazioni delle azioni si avvicinano ai livelli più alti degli ultimi due decenni.
La Fed ha assicurato ai mercati che i tassi di interesse rimarranno ai minimi attuali durante la ripresa e che l’innalzamento dell’inflazione che si attendono è soltanto temporaneo.
Questo potrebbe essere plausibile, in quanto le Banche centrali hanno la possibilità di evitare che un aumento dell’inflazione generi un crollo dei prezzi delle obbligazioni a media/lunga scadenza, acquistando direttamente obbligazioni a mani basse sul mercato secondario. Dovrebbero quindi sostenere sia l’acquisto dei titoli di Stato che delle obbligazioni corporate. Negli USA una strada del genere è già seguita dalla FED, che potrebbe quindi intensificare gli acquisti.
Le banche centrali, negli ultimi anni ci hanno dimostrato di avere una grande “creatività” e di riuscire schierare anche “armi non convenzionali”. Quindi potremmo aspettarci di tutto anche questa volta.
Ma anche la creatività ha un limite. In particolare, le Banche Centrali non vogliono perdere credibilità e farla perdere ai mercati monetari e finanziari. Acquisti di bond smisurati non generano preoccupazione quando si fanno momentaneamente per fronteggiare una pandemia. Se però si fanno in pieno boom economico, allora la credibilità del mercato obbligazionario si riduce.
In ogni caso, in contesti rialzisti essere completamente liquidi non è opportuno. Si parla di bolla sui mercati azionari. La questione, tuttavia, è capire quando scoppierà!
Potrebbe passare anche un intero anno ed oltre. Inoltre, nel periodo antecedente il crollo i mercati tendono a performare molto bene! Lasciare rendimenti al mercato non è proprio piacevole!
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