Investimenti in oro e repressione finanziaria

Investimenti in oro e repressione finanziaria

Di Adrian Ash – Originariamente pubblicato su BullionVault

È da diverse settimane che alcuni mezzi di informazione
internazionali parlano di repressione finanziaria, ovvero la
costrizione dei risparmi privati in investimenti con tassi di
interessi al di sotto dell’inflazione reale, con lo scopo di
ridurre in termini reali i debiti di governi e banche.

“Questo tipo di politica” spiega Carmen Reinhart, economista
che scrive per Bloomberg, “necessita di una forte connessione
tra governi, banche centrali e settore finanziario.”

Data la misura dei debiti nazionali dopo la seconda guerra,
prosegue Reinhart, “la repressione finanziaria […] con il
suo duplice scopo di manteresse bassi i tassi di interesse
e di tenere in ostaggio la nazione […]durerà probabilmente
ancora a lungo.”

“Equivale ad una tassa su chi ha investito in bond e più in
generale, su chi risparmia.”

Chi trova ingiusto pagare delle “tasse nascoste” dopo aver già
pagato quelle esplicite sarà interessato a trovare una via
d’uscita. Fortunatamente la ricerca non è difficile. Nonostante
lo scenario descritto sembri disperato è vero invece che oggi
sperimentiamo la massima libertà di circolazione di capitali
degli ultimi 100 anni. Sopratutto, gli investimenti in oro
(il rifugio classico in circostanze simili, che fu infatti
reso illegale in tutto il mondo quando i governi avevano la
necessità di erodere i propri debiti di guerra) vengono
raramente menzionati quando si parla di repressione finanziaria.

Prendiamo ad esempio il Financial Times: il mese scorso ha
pubblicato 15 articoli sulla repressione finanziaria, citando
l’oro soltanto due volte. Google News rimanda 103 articoli in
inglese nelle ultime due settimane, ma soltanto uno su quattro
nomina l’oro, e per lo più per citare la fine dello standard
aureo del 1914. Ricordiamo che durante lo standard aureo chi
investiva in bond aveva tassi di interesse reali molto bassi,
ma non negativi. Inoltre, la conservazione del valore nominale
alla maturazione era sempre garantito.

“Nell’epoca attuale di libero movimento di capitali, la
repressione finanziaria è comunque possibile” scrive sul FT
Edward Chancellor, economista e membro dell’allocation team
di GMO, “perché viene portata avanti simultaneamente dai
principali centri finanziari del mondo. I tassi di interesse
reali negativi non sono soltanto negli Stati Uniti, ma anche
in Cina, Europa, Canada e UK.”

E quindi? Nessuno costringe i cittadini americani a tenere i
propri soldi negli USA, e nessuno li costringe a scegliere un
conto in euro, o in dollari canadesi o sterline, se preferiscono
fare altrimenti. E per fortuna, visto che i tassi di interesse
sono rispettivamente dell’1%, 2% e 3% al di sotto dell’inflazione.

È vero che la finanza sta pagando il prezzo del bail out,
costretta a tenere nei fondi pensione un valore di $300 miliardi
in debito, i cui rendimenti al netto dell’inflazione saranno
negativi.

Però, fatta eccezione per l’Oriente, i risparmiatori privati
oggi godono di una libertà di investimento mai vista prima.
E pure in Oriente, sopratutto in India e in Cina, l’acquisto
di oro (il rifugio finanziario universale) non è stato così
libero da più di 100 anni.

Vediamo cosa è accaduto in Italia durante il XX secolo per
esempio. Il possesso di oro da investimento è stato illegale
dal secondo dopoguerra fino a poco più di dieci anni fa. La
legge 17 gennaio 2000, n. 7 adegua la legislazione nazionale
alle direttive dettate dall’Unione Europea, permettendo ai
residenti di comprare e vendere oro grezzo da investimento
esente da IVA. Tale legge abolì il monopolio dell’oro da parte
dell’Ufficio italiano del cambi, in vigore dal 1945.

L’investimento in oro era quindi illegale negli anni ’70,
per esempio, quando sarebbe stato utile come hedge contro la
lira, il cui valore come tutti ricordano era soggetto ad
un’altissima erosione inflazionistica. Non solo comprare oro
era illegale, ma entrarono anche in vigore tutta una serie
di misure per ostacolare e impedire gli investimenti all’estero.

Giampaolo Arachi, Franco Bruni e Donato Masciandaro ripercorrono
tali misure in un articolo sulla repressione finanziaria in
Italia: nel giugno 1972 “venne interrotta la conversione al tasso
di cambio ufficiale delle banconote italiane rimesse dalle banche
estere. Un anno dopo venne introdotto l’obbligo del deposito in
un conto infruttifero di un importo di lire equivalente alla metà
delle somme investite all’estero. […] Dal 1976 le violazioni
della normativa valutaria si configurarono come reati e comportarono
sanzioni penali.”

Dallo stesso articolo, ecco spiegato il meccanismo della repressione:
Il meccanismo della “repressione” consisteva nel trattenere, con i
controlli all’uscita, il risparmio all’interno del Paese represso,
“tassandolo” poi con l’ inflazione che, anche quando era attesa,
non si incorporava nei tassi nominali di interesse dei titoli emessi
dai debitori interni (primo fra tutti il settore pubblico) perché
non c’era la concorrenza dei titoli esteri. […] Con la repressione
finanziaria in Italia, ad esempio, il rendimento reale del risparmio
scese ampiamente sotto lo zero per diversi anni, risultando dai 3 ai
5 punti % più basso che sui mercati internazionali.

L’annullamento della concorrenza è la chiave della repressione
finanziaria. Quella attuale allora non è repressione finanziaria,
e anche se lo fosse non sarebbe una novità. La novità invece è la
possibilità di comprare oro, e di scegliere tra innumerevoli
alternative, sia nazionali che estere, che si prospettano a
chiunque voglia gestire il proprio denaro invece che prestarlo ad
un governo o pagare il manager di un fondo pensione.

Ovviamente nessuno strumento può dare la certezza che sarà in grado
di marginare le perdite che si subiscono in altri investimenti. Per
esempio, nel gennaio 1975 gli Stati Uniti, che subivano un tasso di
interesse reale che era del 4,6% al di sotto dell’inflazione,
legalizzarono il possesso di oro fisico dopo trent’anni. Il prezzo
dell’oro in dollari si dimezzò in breve tempo, il mercato si sbarazzò
nei successivi 18 mesi degli investitori poco convinti, per poi
cominciare una corsa che lo portò a moltiplicarsi per 8 entro l’inizio
del 1980.

Come raccomanda Bill Gross di Pimco: “A meno che non ci si accontenti
di rendimenti che al netto dell’inflazione sono di meno 2/3%, è
necessario correre dei rischi in qualche modo.” Comprare oro è uno
di questi rischi, semplice nella sua ovvietà: un rifugio senza
giurisdizione in un mercato senza confini. Sia chiaro che investire
in oro significa scambiare il rischio di inflazione tipico di cash
e bond con il rischio legato al prezzo dell’oro.

La volatilità è un dato di fatto, mentre la ricchezza mondiale si
libera dalle restrizioni immaginarie di cui parla la stampa finanziaria,
e dalle trappole per ingenui tese dai venditori del risparmio gestito.

Originariamente pubblicato su BullionVault

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