Perché l’aumento dei tassi d’interesse riduce l’inflazione?

tassi d'interesse ed inflazioneIn un passato articolo ci siamo chiesti se era meglio un’alta inflazione o l’aumento dei tassi d’interesse! L’innalzamento del tasso di interesse di riferimento fissato dalle banche centrali non piace agli operatori di mercato. Questo perché rende il ricorso al credito più costoso. Ciò inevitabilmente si ripercuote sull’espansione delle aziende, sulla crescita dei profitti e quindi sulle quotazioni di borsa!
Nel precedente articolo ci siamo soffermanti su una delle conseguenze negative degli alti livelli d’inflazione. Con questo articolo ne esamineremo un altro.

Il ruolo delle banche centrali e gli interventi sui tassi d’interesse

Tra gli obiettivi principali che hanno le banche centrali c’è quello di garantire la “stabilità dei prezzi“. Questo significa che i prezzi dei beni e servizi all’interno di un paese non devono crescere eccessivamente, né devono diminuire troppo!
Analisi empiriche hanno dimostrato che in un’economia in salute, i prezzi dei beni e servizi dovrebbero crescere all’incirca il 2% all’anno.
Valori troppo distanti da tale livello, sia verso l’alto che verso il basso, creerebbero instabilità economica e pertanto sono tollerabili solo per brevi periodi di tempo.
Sulla base di tali osservazioni, per le principali banche centrali del mondo garantire la stabilità dei prezzi si traduce nel perseguire un’inflazione attorno al 2%.
Pertanto, alle banche centrali spetta intraprendere tutte le misure necessarie per ripristinare tali livelli d’inflazione qualora questi dovessero discostarsi dal livello obiettivo del 2%.

Che legame c’è tra tasso d’interesse e inflazione?

Il tasso d’interesse fissato dalle banche centrali è chiamato sia “tasso ufficiale” che “tasso di riferimento”. E’ chiamato anche in quest’ultimo modo perché il livello di tasso d’interesse fissato dalle Banche centrali, a catena influenza, i tassi d’interesse praticati sul territorio.
Il tasso d’interesse di riferimento è il tasso applicato dalle banche centrali sui finanziamenti erogati da quest’ultima alle banche commerciale e sulla moneta elettronica che esse depositano presso la banca centrale “overnight”, cioè per la durata di un giorno lavorativo.

Se le banche commerciali “comprano” moneta ad un costo più alto, sono tenute a cederlo, sotto forma di finanziamenti alle imprese e alle famiglie, vedi ad esempio i mutui, a loro volta ad un costo più  alto!
L’aumento del costo del credito raffredderà l’economia perché le aziende avranno più difficoltà a espandere l’attività perché i finanziamenti sono più cari. Per lo stesso motivo le famiglie chiederanno meno facilmente prestiti e quindi avranno meno denaro da spendere.
Inoltre, quando le banche offrono mutui a prezzi più alti, sono in grado di offrire rendimenti maggiori ai propri risparmiatori. Per cui diventa più conveniente per le famiglie risparmiare anziché spendere.

Tutto questo si traduce in una diminuzione di domanda interna e quindi dei consumi. Le aziende, dinanzi ad un calo delle vendite, conterranno l’aumento dei prezzi e quindi, nel paese, le aspettative di inflazione diminuiranno.
Se diminuisce l’inflazione attesa, i dipendenti moderano la domanda salariale, cioè non chiederanno più aumenti consistenti degli stipendi. Si evita in questo modo la spirale prezzi-salari. Un aumento dei salari, infatti, spinge le imprese ad aumentare ancora di più i prezzi creano un circolo vizioso che impatta negativamente sui già alti livelli d’inflazione.
Se si interrompe questa spirale, ne consegue che nel tempo l’inflazione tenderà ad abbassarsi!

Gli effetti collaterali dell’aumento dei tassi d’interesse

Hai appena appreso che l’aumento dei tassi d’interesse, attraverso una serie di “passaggi”, incide sulla domanda interna, ovvero sui livelli dei consumi. Una diminuzione dei consumi può compromettere seriamente la crescita economica di un paese. Le aziende vendono meno e finanziarsi è diventato più caro! Una combo che può mettere in serio pericolo la sopravvivenza delle aziende che in alcuni casi sono costrette a licenziare personale!
Questa relazione inversa tra disoccupazione e inflazione era ben nota a Phillips che la sintetizzo nella famosa “curva di Phillips“.
Phillips, attraverso un’analisi dell’andamento dell’economia inglese negli anni ’50, evidenziò che l’inflazione poteva essere abbassata solo sacrificando occupazione! Questo avveniva sulla base del meccanismo che abbiamo spiegato prima.

Il difficile ruolo delle banche centrali

Sulla base di questa relazione, le banche centrali, oggi hanno un compito difficilissimo! Il loro intervento dovrà essere tale da evitare, o quantomeno da limitare il più possibile, che gli interventi necessari per ripristinare livelli ottimali d’inflazione, si possano tradurre in un serio aumento della disoccupazione!

Il ruolo delle banche centrali, in questo periodo storico è reso ancora più difficile dalle motivazioni che hanno principalmente indotto l’aumento dei prezzi.

L’innalzamento dei tassi d’interesse, per ristabilire gli auspicati livelli d’inflazione, sacrificando parte dei lavoratori (aumento della disoccupazione), è efficace quando l’aumento dell’inflazione è indotto da un aumento di consumi, quindi da un’economia in forte espansione. Generalmente, in questi casi, i livelli della disoccupazione sono ai minimi per cui le aziende non riesco ad espandersi per far fronte all’eccesso di domanda.

In questa fase storica, a ben vedere, l’innalzamento dei prezzi è principalmente dovuto ai ritardi sorti nella catena degli approvvigionamenti a causa dei lock-down, e soprattutto dalla guerra tra Ucraina-Russia, che ha innalzato enormemente il prezzo di alcune materie prime alimentarie e energetiche, in primis del gas e dell’energia elettrica!

In questo contesto, un aumento dei tassi d’interesse per ridurre i consumi e per spingere le aziende a non aumentare i prezzi, per scongiurare la spirale salari-prezzi, potrebbe produrre degli effetti devastanti per le aziende che in presenza di un aumento esorbitante delle materie prime non possono aumentare i prezzi!

Un aumento dei tassi non chirurgicamente calcolato, almeno in Europa, potrebbe fare danni strutturali all’economia!

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